venerdì 7 luglio 2017

Sottofasciasemplice! Tanti auguri al console rocker


Tanti auguri al console rocker: da oggi Sottofasciasemplice, storico gruppo di Mario Vattani, è su Spotify, iTunes e su tutte le maggiori piattaforme digitali web di musica.

7 luglio 2017 - Da oggi, chi vuole potrà scaricare o ascoltare in streaming dalla rete tutti gli album (oltre sessanta canzoni) di Sottofasciasemplice, lo storico gruppo rock di Mario Vattani, anche conosciuto con la sigla SFS.

E’ stato il regalo di compleanno che l’etichetta Rupe Tarpea Produzioni (RTP) ha voluto fare al diplomatico italiano, scrittore e musicista, originale sperimentatore che ha sempre incrociato più discipline, a cavallo tra Oriente e Occidente, disseminando il suo percorso di tracce preziose e suggestioni non conformiste.

Mario Vattani è un diplomatico che ha ricoperto incarichi di prestigio, ma per noi della RTP è soprattutto un artista a tutto tondo,che ha scelto tra tanti mezzi espressivi anche la musica, senza mai perdere il contatto con le immagini che essa dovrebbe riuscire a evocare.

Dal 2016, con il successo del suo romanzo “Doromizu. Acqua torbida” (Mondadori, 2016) ha aggiunto alla personalità di musicista anche quella di scrittore, pubblicando quest’anno un nuovo libro: “La Via del Sol Levante” (Idrovolante Edizioni, 2017).

Gambadilegno (1998), Perseo (1999), Crociato (2000), Idrovolante (2006), Filospinato (2007), Colonna Sonora (2016): da oggi anche programmi come Shazam riusciranno a riconoscere le canzoni di tutti questi album, musica dai toni duri, oscuri, visionari, che però lancia sempre un messaggio di liberazione. Sottofasciasemplice è un progetto che adatta la lingua italiana al ritmo tagliente della musica, con un approccio quasi teatrale. Nella composizione Vattani ha sempre ricercato la dissonanza, il suono distorto e poco definito, anche nella voce, e nella chitarra che suona come una sirena. E tutto questo nel auspicio del proseguio dell'avventura sonora di SFS...

Buon ascolto, e diffondete il verbo, condividete!

mercoledì 21 giugno 2017

ZETAZEROALFA - Morimondo

ZETAZEROALFA – Morimondo – 
RTP 2017 (By Attila)

 Ho voluto attendere qualche settimana, poi divenute mesi, prima di parlare di “Morimondo” lavoro uscito non a caso di 21 aprile, giorno fatidico, e ad ora disponibile sia in formato CD digipak che digitale.. Sì, ho voluto attendere, perché dare giudizi imparziali su ZetaZeroAlfa é dura. Dopo averli visti praticamente nascere, crescere, evolversi e imporsi come progetto musicale ed entità politica, dopo bevuto, discusso e riso con loro in interminabili nottate e giorni caldissimi, mantenere l’imparzialità è difficile. Così come la paura per possibili delusioni, non che non avessi fiducia, ma sette anni dopo il precedente “Disperato Amore” sono tanti, soprattutto considerando quanto ho amato il disco del quintetto capitolino appena uscito. Volevo evitare il tiepido “interessante ritorno”, degno di un “le faremo sapere” che maschera un rifiuto alla fine di un colloquio andato male, così come, pieno di speranza come ero, non era necessario per me non avere toni da fanboy – attempato -. Ma quando ti trovi tra le mani un lavoro del genere, come si fa? Con un cavallo beffardo che ti guarda di sbieco, apparentemente sorridente dalla spiazzante, ma azzeccata copertina, curata da Vincenzo, chitarrista dei monolitici SPQR. Ma bando alle ciance…

Andiamo a cominciare

“E vedo solo luci blu”, è con queste parole che, dopo un breve intro, la voce di Sinevox da inizio alle danze con un pezzo che più che una canzone è un’esplosione, tanto complessa nella regia di cori e controcori, quanto efficace nel trascinarti subito in strada, fianco a fianco con chi ha fatto le tue stesse scelte, in uno scontro contro forze dell’ordine e orchi di vario genere. Punk rock melodico, potente e diretto, perfetto per raccontare scene di un conflitto privo di lacrime, se non quelle date dell’emozione di essere assieme ancora una volta. Racconti di amori barricaderi, fumogeni e cellulari, affrontati con il sorriso di chi ha un compito, un destino, una volontà.

Cambio di scena, “Il nome mio” irrompe con riff che rimanda agli Iron Maiden, in una interpretazione in chiave ZZA della migliore New Wave of British Heavy Metal. Un testo che richiama al sacro nome della nostra terra, in cui, si identifica chi ancora non si è fatto ingannare dalle lusinghe della globalizzazione. Il pezzo, un mid tempo con testo ben scandito e cori a cascata. ZZA ha solide radici nel punk, nel metal e nei dintorni, ma possiede una capacità compositiva e di arrangiamento che pesca a piene mani a grandi nomi del rock italiano (e non). Lo si era già detto per il precedente “Disperato Amore” e non posso che ripeterlo ascoltando il coro finale, un “OOOO” eroico cantato a squarciagola, che fa suonare le campane a chilometri di distanza.




Segue “Cresci Bene Giovinezza”, con aperture quasi brit pop, quello più buono e virile, con chitarre arpeggiate, mille voci che abbattono ogni muro e un testo che invita le nuove generazioni a essere protagonisti, credendo in sé stessi, senza perdersi e, soprattutto, evitando vittimismi. Questo è uno dei temi centrali del disco, che sembra compiere un taglio netto con decenni di testi segnati da piagnistei, prendendo le distanze dal costante senso di sconfitta tipici delle varie “all’insegna del cervo bianco”.

Proseguiamo. Un riff metallico, quadrato, come ai tempi di Kriptonite, ci riporta nel ’42 in picchiata con il 1° Stormo all’urlo di battaglia “GhereGhereGhez!” Poche frasi che colpiscono frontalmente, un coro ancora una volta esaltante, per un coinvolgente trionfo di potenza.

E ora sedetevi tutti e preparatevi a cavalcare con “Morimondo”, title track del nuovo lavoro di ZETAZEROALFA e, per quel che mi riguarda, il momento più alto del disco. Sinevox canta come non ha mai cantato, a pieni polmoni, ma tranquillo, melodico, convincente, accompagnato dalle voci dei suoi fratelli in un inno alla “Nostra signora libertà”, libertà vera, fatta di spirito e carne, libertà che è regno interiore e impero vissuto nel quotidiano, una libertà compresa e incontrata ogni volta che ci ti guardi allo specchio e ti rispecchi in chi ti accompagna e ha il tuo stesso sguardo. Siamo in puro country punk, di altissima levatura, epico, emozionante, potente. Vorrei ore di musiche così, se abbiamo avuto Morricone, possiamo anche impegnarci per andare in questa direzione.

La seguente “A Difesa Della Torre” ha l’arduo compito di dover pareggiare quanto appena descritto, ma riesce senza difficoltà, con un raro esempio di “rock totale” dove la chitarra solista di Dr. Zimox, mai così presente come in questo lavoro, è sempre azzeccata, tanto da costituire uno degli elementi essenziali di tutto “Morimondo”. Un testo perfetto, cantato con calma e ispirazione, per una narrazione melodica che conduce a un singalong a orologeria sino a un finale condito da assolo finale firmato Tucano e dove tutto sa di tempesta.

Dopo tanta emozione, una breve introduzione mediorentaleggiante introduce “Per La Siria! Per Assad!“ Chitarre quadrate, un testo esplicito in favore della Siria di Assad, piagata da anni di guerre finanziate da potenze occidentali in nome delle cosiddette primavere arabe, autunno delle coscienze e che ha portato a un lungo inverno sotto il vessillo corrotto di una forma blasfema dell’Islam. Ospiti di riguardo i compagni d’etichetta Fantasmi del Passato.
Un riff di chitarra bizzarro che sembra un organetto ironico, accompagna un ritmo saltellante, la voce scanzonata che riporta in piazza come in “Luci Blu”, prima che le file si compattino, e parta altro coro esaltante da urlo “Marcia oppure crepa, leone anziché preda”, non c’è tregua, ci si deve esaltare ancora, la tensione non finisce, si va avanti sino all’ennesimo benvenuto assolo che sottolinea accompagnato dalla sezione ritmica (dei soliti John John Purghezio e Atom Takemura) e dalla seconda chitarra di Joey Tucano. Un inciso merita il lavoro di Joey Tucano anche alla consolle di produzione, che ha reso questo disco come se fosse un prodotto da major, dove tutto appare come si deve sentire e arricchendo di dettagli che fanno di Morimondo un lavoro completo e, mi si perdoni il termine, professionale.
Con un titolo criptico “Zen Serendepico Zen” e un testo ermetico ci si lancia nella mischia liberatoria con un pezzo di puro street punk, corale, travolgente, provocatore di rovine e calche infinite sotto (e sopra) il palco. Un’altra perla destinata a provocare tanti lividi.


Oltre il gruppo, oltre la musica

ZZA è sicuramente composto da talentuosi strumentisti e un carismatico cantante, ma è prima di tutto una COMUNITÀ. Lo si era già visto nel folle esperimento DRUMO e fa piacere vedere tante facce vecchie, ma soprattutto nuove apparire anche in “Morimondo”. Penso Bronson, Blind Justice e Fantasmi del Passato, presenti in gran parte dei cori.

Ma negli ultimi pezzi, gli amici invitati lasciano una traccia indelebile aggiungendo il proprio stile, aiutando ZZA a comporre pezzi come “Sotto Bandiere Nere”, dove la crew di hiphop nonconforme, Drittarcore, inserisce testi e rime su un pezzo metallizzato, nonché Lebensessenz che, con la sua “La grande visione, ci regala una sua personale interpretazione intimista della title track, fortemente in debito con certa musica minimalista.
Conclusione

Dopo 7 anni, tutto poteva succedere. Evoluzioni, sperimentazioni, naturali distrazioni dal solco tracciato dai lavori precedenti. Invece, ZZA è tornato presentandosi come quando ci ha lasciati, ma con nuovi suoni, nuove idee, nuove ispirazioni. Lo fa senza tradirsi, citandosi in più occasioni ma senza plagiarsi o rendersi ridicoli. ZZA cresce bene, non invecchia mai e si impone come macchina da guerra, carro armato sonoro che sa essere allo stesso tempo impegnato, scanzonato, determinato, puro, potente e divertente. Saper dipingere in vari stili non è da poco. ZZA si conferma avanguardia sonora, con radici in 30 anni di storia in un crossover di contaminazioni che passano da punk, metal, rock italiano, influenze morriconiane e inserimenti elettronici, hop e così via, in una fusione di musica totale che, se inserita nei giusti canali, potrebbe fare tanti danni all’ordine mentale costituito. Un disco importante, con un messaggio che parla alle nuove generazioni, mentre da conferme a chi è a cavallo ormai da tante primavere e non intende farsi disarcionare dalla vita sino a quando ci sarà quella libertà che ci prendiamo ogni giorno.


venerdì 20 maggio 2016

SPQR - Invictus

SPQR Invictus - (CD - RTP 2016)

Non è passato molto dall'uscita di Invictus, l'ultimo lavoro della furia hardcore capitolina. Se non si fosse capito stiamo parlando degli SPQR, il gruppo nato dalle ceneri di Londinium Spqr (e che non ha alcun legame con il movimento degli Spqr Skins) che ci ha donato in passato altri tre lavori: nell'ordine lo split con i Faustrecht, quello con gli Hate For Breakfast “Play Hardcore or Die” (probabilmente tra le migliori uscite dell'HC nostrano) e la compilation World Wide War. Ebbene, nonostante i tanti anni di attività “Invictus” è il primo full lenght della band contenente 10 brani e tanta attesa non tradisce assolutamente le aspettative. Il marchio di fabbrica del gruppo, ovvero le ritmiche granitiche , la voce serrata ed incalzante ed un muro sonoro senza eguali trovano nuova linfa vitale a fronte di una produzione eccellente, una più complessa composizione dei brani e ad un nuovo cambio di formazione. Si va dagli strumentali (Ad Arma, che apre l'album come se fosse l'inizio di una guerra, e l'orchestrale outro Victoria, che ne segna la conclusione e la vittoria della stessa) passando per le pesantissime “Scudo e Spada” e “Il Tempo del Sangue”, dove riff lenti e testi che suonano come proclami scandiscono i tempi del cd, fino ad arrivare a brani dal sapore Thrash di Slayeriana memoria (Distruzione Nazionale, H.L.V.A.). Il brano migliore, a gusto di chi scrive, è “E.U.sura”, un vero e proprio proclama di condanna contro la burocrazia Europea che succhia il sangue delle nazioni e dei popoli del vecchio continente. Il brano si apre con un riff incalzante e la sua evoluzione fa da perfetta cornice sonora ad un paesaggio quasi post-apocalittico descritto nel testo (“guardati intorno è la devastazione, saracinesche chiuse e frustrazione”), concludendosi con un riff/assolo melodico e scuro di ispirazione Black Metal che ricorda le migliori tradizioni scandinave, rimandando a band come i Dissection. Infine un grande valore aggiunto al cd è la cover di “Giustizia Sociale” dei Peggior Amico, omaggio al cantante Caio che ci ha lasciato da ormai tre anni e alle radici musicali della band che affondano nel rac di quegli anni. All'interno del concept la scelta del brano è perfetta: tutto invictus rappresenta un vero e proprio inno alla Nazione ed una chiamata alle armi verso i suoi nemici, nel nome di una giustizia sociale distrutta da 70 anni di repubblica italiana e di burocrazia europea. Se per qualche motivo vi siete persi questa uscita targata Rupe Tarpea, non tardate ulteriormente ed assicuratevi di procurarvela acquistando il cd dall'etichetta, direttamente dal gruppo ai concerti (prossimo dei quali sarà a Tana delle Tigri a Roma il 21 Giugno), da “la testa di ferro” e da tutti i portali di distribuzione di musica non conforme presenti sul web.

                                                                                 Alessandro Bandini

domenica 31 gennaio 2016

Il 2015 di Rupe Tarpea

Una veloce rassegna delle uscite  Rupe Tarpea del 2015 eV, anno prolifico e denso di soddisfazioni. Come sempre per ordini, info e richieste di distribuzione contattare perimetros@gmail.com




Rtp091 - SKOLL – Il sogno di Mishima, CD.  L’attenzione di Skoll a Yukio Mishima è nota, spaziando nel tempo dalla musica agli scritti. “Il Sogno di Mishima” raccoglie in una sorta di personale tributo tutte le canzoni che negli anni Skoll ha dedicato a Mishima in vari lavori, rimixate in una nuova veste, più vicina al suono attuale e completate dall’inedita “Il Sogno Di Mishima”.







Rtp092- BRONSON  - Roma Tiger Punk, CD. Secondo lavoro del gruppo romano, dettato da una sana irruenza nel fare all’insegna del “chi si ferma è perduto”. Punk, melodia, sfrontatezza, stare sul pezzo. Dopo la sorpresa ed il successo di “Bronson”, “Roma Tiger Punk” è la conferma di uno stato di grazia dove si fondono energia, freschezza e tecnica, per un gruppo che ormai è garanzia.








Rtp093 -  HOBBIT  - “Di qui non si passa”, CD. La storia degli Hobbit si intreccia con quella della nostra etichetta da ormai venti anni  confermandosi ad oggi il gruppo più longevo della label. “Di qui non si passa”, quarto album, tributo all’Italia della Vittoria,  vede un nuovo cambio di formazione dove il gruppo riscopre il piglio punk degli esordi unito a una tecnica e ad un piglio invidiabili, per quello che forse è il lavoro più ricco e “denso” di sempre.







Rtp094 - SKOLL – Marmofuoco CD. Ebbene si, in quest’anno il prolifico Skoll  si è prodotto in ben due lavori. Marmofuoco è un ulteriore passo nella maturazione di un suono personale, un lavoro  appassionato e appassionante interamente dedicato a celebrare i 100 anni dall’entrata dell’Italia nella Grande Guerra, dove la capacità di descrivere la storia dalle singole storie, si riafferma prepotente ed epica.










Vinile
 Quest'anno ricca messe di vinile. Limitato ovviamente...

Rtp087 Vin13 – BRONSON “Bronson”
Rtp092 Vin14 – BRONSON “Roma Tiger Punk”

Dalla collaborazione con la tedesca Dim Records ecco le versioni in vinile dei due album di Bronson, in nientemeno 4 tipi di vinile diverso, ovvero, per ciascuno dei due lavori
Vinile nero 180gr in 300 copie, vinile verde 150 copie, bianco 150 copie, rosso 150 copie


Rtp004 Vin15 - INTOLLERANZA – Tutti All’Inferno LP. Come promesso, dopo il 45 ecco LP... Rupe Tarpea iniziò nel 1993 ma fu nel 1995 con l’uscita del CD di Intolleranza che l’etichetta prese il suo spazio. A distanza di venti anni si celebra questa uscita con un sontuoso vinile firmato a tre assieme a Blackshirts rec. ed Extremo Occidente. Cover extra lusso con disegno laminato, RTP firma le 200 copie nere in vinile pesante 180 gr. 200 copie in vinile bianco per BSR e 200 copie in vinile rosso per DEO. Imperdibile per chi c’era e per chi c’è.


giovedì 15 ottobre 2015

HOBBIT - Di qui Non Si Passa

HOBBIT - "Di Qui Non Si Passa" (CD , 2015 RTP)


"Se cambia la musica, cambieranno anche le istituzioni": con questa frase del filosofo Platone inizia l'ascolto del nuovo lavoro degli Hobbit dal bellicoso titolo "Di qui non si passa", quarto album di studio per la band di origini perugine attiva dal 1994, uscito il 27 giugno 2015. I nostri, dopo un'esperienza ventennale, sono arrivati a sfornare un nuovo attesissimo capitolo con testi carichi di grinta, speranza, poesia e una pura attitudine rock. "Di qui non si passa" è un concept album dedicato alla nostra terra, forse il lavoro meno politico e militante degli Hobbit, ma il più concentrato su temi storici e patriottici. Il disco si apre con la title track, che altro non è che il motto degli Alpini coniato dal generale Luigi Pelloux, dal sound molto cadenzato e pesante che si trasforma in un ottimo hard rock d'oltreoceano. Si prosegue con la speranzosa "L'alba verrà", dove si fanno notare le chitarre della prima scuola heavy metal tricolore: Strana Officina e Vanadium su tutti. "Vieni con noi" è il classico brano melodico, pieno di armonia e dalle sonorità poppeggianti. La classica canzone dal sound semplice ma curato, che potremmo tranquillamente sentire per radio, se solo non avesse un chiaro messaggio "contro la droga". Si continua con la ballad "Ancora qui", un brano difficile che ha l'arduo compito di parlare dei militanti caduti nei duri scontri durante gli anni di piombo. La canzone è la dovuta continuazione di "HL78". Verso metà album si ha "Italia": vera e propria poesia dedicata dagli Hobbit stessi alla nostra madrepatria (in cui, a tratti, ricordano i Gesta Bellica). Azzeccata la backing vocal femminile, ottime le chitarre di chiusura in puro stile heavy rock sull'ultima strofa recitata in latino. Il lavoro prosegue con "Uomo seriale", dalla melodia malinconica, dove si scatta una rapida istantanea della società odierna e della sua inesorabile decadenza umana e spirituale. Il disco si riprende di sound e speranza con "Scala a colori", che è una canzone d'amore ritmata da una batteria scandita e un riff accattivante. L'alterego di "Donna alla moda". L'ottava traccia è "A.T.A." (Alto Tasso Alcolico), brano con un testo goliardico di puro punk 'n' roll spensierato e trascinante dominato da cori coinvolgenti. Si arriva al brano "Ardite schiere", dalle chitarre folk e ritmo di batteria calzante, quasi un tributo alla musica popolare italiana. Successivamente è la volta di "European brotherhood", penultima traccia dell'album, brano di grande qualità sia musicale, sia compositiva, dove gli Hobbit danno il meglio di sé. Si giunge alla fine con "Per la nazione", cover di "Wir ham' noch lange nicht genug" dei tedeschi Böhse Onkelz col testo adattato di "Es por tu nación" degli spagnoli Klan, resa famosa dai División 250. Uno dei miglior brani del lotto, talmente carico di adrenalina che difficilmente non lo canterete a squarciagola ai concerti! Nel complesso, "Di qui non si passa", rimane un eccellente lavoro degli Hobbit, curato in maniera meticolosa sia a livello sonoro, sia a livello compositivo. Dettagliato nella grafica di copertina e del booklet che lo rende piacevole da sfogliare e leggere, pieno di citazioni, testi, foto, crediti e illustrazioni varie. Un disco maturo, con sonorità forse più ritmate e testi non banali, che conferma gli Hobbit come uno dei migliori gruppi di rock identitario italiano. Come sempre l'album è stato prodotto da Rupe Tarpea Produzioni su CD, che anche a questo giro piazza un bel colpo e ci regala quarantacinque minuti pieni di emozioni, pathos e poesia in puro stile rock 'n' roll e spirito patriottico.

Eugenio Nardi / Archivio Non Conforme



giovedì 1 ottobre 2015

CORAZZATA VALDEMONE - intervista





Quando si parla di progetti post-industrial e neo-folk, si schiudono finestre che danno su un mondo estremamente complesso. Un neofita può rimanere più che confuso da un ambiente polimorfo dove sembrano non esistere certezze e dove tutto quello che vedi non è ciò che sembra. Apparenti contraddizioni convivono sotto uno strano paralume di provocazione/sperimentazione, dove personalità complesse minano l'immagine dell'artista/musicista “classico”, spesso con risultati interessanti (quando funziona) o esilaranti (quando va male). Di tutto è stato scritto su questo ambiente dove i meno attenti possono facilmente fraintendere le intenzioni di gruppi e l’unica possibilità per sopravvivere è lasciarsi coinvolgere a livello inconscio o fuggire a gambe levate. 
In questo calderone di confusione estetica, un progetto che sicuramente ha fatto parlare di se negli ultimi anni (in bene e in male) è Corazzata Valdemone. Creatura sorta in quel di Milazzo contrassegnata da un approccio sonoro ed estetico intransigente che ha destato attenzioni in molti e provocato grandi dolori di fegato ad altri, ma, come si suol dire, non si può accontentar tutti. 
Dopo inizi un po' incerti, la Corazzata si è evoluta sino ad imporsi con lavori della portata di "Avanguardia Rumorista" e il recente "Stornellando in grigio verde", album che presentano un riuscito crossover di sonorità marziali molto spesso declamate in italiano, pezzi elettro-acustici e ballate strappalacrime. Non mancano momenti sperimentali dove vengono utilizzati strumenti autocostruiti e artigianali che rappresentano un tentativo di creare suoni propri che non sempre riesce a tutti. 
L'estetica della Corazzata è un pugno in faccia, una dichiarazione di forza e volontà che non esclude humour nerissimo con packaging limitati bizzarri ed espliciti riferimenti al ventennio. 
Ma di questo e tanto altro, ci parlerà Gabriele, mente e corpo del progetto.


  
Iniziamo questa chilometrica intervista con una domanda che mi sono fatto appena incrociato il nome del tuo progetto. Corazzata Valdemone non è soltanto un moniker che evoca volontà di potenza o qualcosa che ti schiaccia come un rullo compressore, ma ha anche un significato legato strettamente alla tua terra di provenienza. Illuminaci su questo argomento per favore.

Quando decisi di mettere in piedi questo progetto desideravo un moniker che dovesse racchiudere in se tutti gli aspetti principali della mia musica. Innanzitutto volevo che ci fosse un riferimento territoriale con i luoghi in cui vivo, cioè la Sicilia, e scelsi il termine Valdemone con cui era chiamata anticamente la parte ad est dell'isola. D'altro canto volevo un nome che suonasse molto pomposo, altisonante e bellicoso e scelsi il termine Corazzata. Dall'unione dei due termini scaturisce un senso di mistero lasciando pensare a chissà quale residuato bellico e penso che sia il nome ideale per un progetto come il mio.

Chi è e cosa intende dire e fare la Corazzata Valdemone. Raccontaci chi è la sua mente e illustraci chi sono stati i tuoi collaboratori principali almeno negli ultimi anni.

La Corazzata nasce nel 2003, in un periodo in cui la scena Martial/Industrial era al suo apice creativo, ma ho sempre trovato un po' contraddittorio vedere che gente come Von Thronstahl, Les Joyeaux de la Princesse o Toroidh utilizzassero un'estetica fortemente militaresca associata a dei suoni orchestrali che - per quanto pomposi - erano tutto sommato docili e molto atmosferici.
Trovavo che queste tematiche necessitassero di maggiore foga, irruenza e soprattutto rumore, così decisi di mettere in piedi questo progetto per tradurre in musica la vera essenza della guerra. Nel primo periodo della mia discografia ho dato parecchia attenzione alla fusione di musica, voci, samples e campionamenti di battaglia in modo che potessero risultare come un unicum e - riprendendo un passaggio del manifesto della Corazzata - che le parole si facessero musica e la musica portasse con se un messaggio nitido ed inequivocabile.
Riguardo alla seconda parte della tua domanda c'è da dire che la Corazzata è nata come un progetto solista e così è sempre rimasto fino ad oggi. Ho avuto moltissime collaborazioni delle quali porto un bel ricordo, ma quelle che ricordo con maggior affetto sono Deviate Damaen, Sigfried, che ho avuto anche il piacere di avere sul palco al release party di Stornellando in Grigioverde il 1 marzo scorso, insieme a Stefania D. ed il grande John Purghezio degli Zetazeroalfa. Ad ogni modo il ringraziamento più grande va al mio principale collaboratore ed amico storico Carlo Carbone degli Art Inferno che è sempre stato presente durante tutta la mia crescita artistica e che ha firmato diversi dei più bei brani della mia discografia.
Riguardo alla mente che sta dietro al progetto non credo che possa essere interessante sapere cosa faccio nella vita di tutti i giorni o che piatti preferisco mangiare. Io sostengo che un artista non bisognerebbe mai conoscerlo fino in fondo, dunque preferisco che la gente che mi segue idealizzi l'immagine di me che preferisce.

Il progetto esiste da tanti anni ormai, ma l'evoluzione degli ultimi anni, musicale ed estetica è stata impressionante. Composizioni, grafiche e suoni sono radicalmente migliorati. Come pensi sia avvenuta questa crescita?

Ti ringrazio per le belle parole, è semplicemente successo che ad un certo punto del mio percorso musicale ho smesso di campionare vecchie registrazioni di canti di guerra ed ho iniziato a risuonarli io... Fondamentalmente si tratta di un approccio alla melodia che avevo già sperimentato - seppur in modo abbastanza acerbo - ai tempi dei Kannonau e che adesso ho provato a riproporre con maggiore cognizione e perizia. Con gli anni ho iniziato ad acquisire anche una maggiore dimestichezza con strumenti analogici ed ho iniziato a ripulire le mie composizioni che, per quanto affascinanti, meritavano di essere arrangiate e realizzate con maggiore professionalità. Sono sempre stato convinto che con metodo, ordine e pazienza si possano ottenere grandi risultati, così per la musica come per le grafiche, ed ho iniziato a dedicare molta più attenzione ai miei lavori, cercando - nei limiti del possibile - di non farmi prendere dalla frenesia e riflettendo a lungo sulle mie realizzazioni, finchè non ne sono totalmente soddisfatto.
Solitamente ho sempre curato personalmente le grafiche dei miei lavori, ma su "Avanguardia Rumorista" ho ceduto volentieri il compito a Nickolay Busov della UFA Muzik che è un grafico professionista ed è inutile dire che sono assolutamente soddisfatto del risultato finale. Dopo quell'episodio è venuto il turno di "Stornellando in Grigioverde" per il quale sono tornato ad occuparmi personalmente dell'artwork, che desideravo potesse mantenere uno standard qualitativo all'altezza del precedente. Mandai la prima bozza ai ragazzi della Wolf Age che - pur apprezzando - mi spinsero a rifare, migliorare, affinare e rivedere ben 7 differenti grafiche fino a quella che è divenuta quella ufficiale. Oggi ci tengo a ringraziarli pubblicamente per la pazienza e la tenacia.



So che nel tempo libero, ti diletti nella costruzione di strumenti a molla e altre diavolerie sonore, alcuni dei quali ora in possesso di famigerati musici industriali. Parlaci di alcuni di questi esperimenti, come li hai realizzati? con che materiali ti piace lavorare? (aggiungi materiale iconografico)

Si è vero, sono molto affascinato dalle fields recording, dai campionamenti ed anche dalla realizzazione di strumenti artigianali che mi diletto a costruire nel tempo libero. Si tratta di strutture molto semplici con molle di diverse lunghezze e durezze, alcuni thunder maker ed altri oggetti che mi piace costruire per ottenere suoni abbastanza personali.
Una delle mie prime realizzazioni si chiama "Tremerario" e si tratta di uno strumento realizzato con diverse molle collegate tra di loro per dare una maggiore risonanza. Si tratta di un oggetto a metà strada tra un opera d'arte contemporanea ed uno strumento vero e proprio del quale ne esistono solo 2 esemplari, uno dei quali in dote ad un musicista di Como, mentre un'altro strumento per certi versi simile è finito tra le mani di Piero Stanig aka Naxal Protocol (ex Cazzodio).
Si tratta di oggetti molto semplici, nulla di trascendentale, ma il suono della ferraglia ha un fascino irresistibile anche senza alcun tipo di effettistica...

Come sei giunto a questo genere di sperimentazione sui materiali? Forse a un senso di riappriopriazione di una dimensione più fisica del suono in un momento in cui i software synth e la musica intangibile in generale spopola?

La tua interpretazione è molto interessante e penso che a livello inconscio sia sicuramente una buona lettura. Ho sempre odiato quelle bands, soprattutto in ambito marziale, che utilizzano suoni freddi analogici o loop infiniti, mentre invece ho sempre ammirato gente come Einsturzende Neubauten che invece sperimentano con tutto quello che gli capita sotto mano... in fondo la nostra è una scena "Industriale", bisogna pur sporcarsi le mani, no? In un mondo in cui tutto è di plastica, seriale, standardizzato ho pensato che realizzare qualcosa di unico potesse aiutarmi a forgiare un suono personale che nessun synth o vst potrà mai riprodurre.

Parliamo del tuo ultimo lavoro "Stornellando in Grigioverde". Da cosa nasce il concept e come si è sviluppato. Noto riferimenti alla prima guerra mondiale di cui cade oggi il centenario. Che aspetti volevi presentare nella tua opera?

Stornellando in Grigioverde è un lavoro molto concettuale che non mi spingo a definire concept album, ma nel quale ho provato a focalizzare l'attenzione sul tema della Grande Guerra di cui - come anticipavi - quest'anno ricorre il centenario dell'entrata dell'Italia nel conflitto. Alcuni brani trattano tematiche differenti, ma il tema dominante è quello della prima guerra mondiale, di cui non ho cercato di idealizzare una figura romantica come hanno fatto in passato artisti ben più bravi di me, ma mostrando il lato ardito e valoroso dei soldati che hanno combattuto in condizioni disumane ed hanno servito la Patria con devozione e convinzione fino alla vittoria. L'episodio che amo maggiormente è Memorie, in cui è possibile ascoltare le registrazioni di due poesie recitate a memoria da una donna di 106 anni che ha vissuto entrambe le guerre mondiali e che oggi non c'è più.

Rispetto al precedente Avanguardia Rumorista sembri concentrarti maggiormente, e mi permetto di dire con ad atmosfere più percussive e militaresche, piuttosto che l'aspetto melodico con cui hai segnato pezzi memorabili. Come mai questa scelta?

Da Avanguardia Rumorista ho iniziato a concepire brani che avessero una struttura definita secondo una forma-canzone, dunque è ragionevole dire che Stornellando in Grigioverde ne sia la naturale evoluzione, ma per quanto riguarda le atmosfere ho momentaneamente accantonato le parti melodiche che avevano caratterizzato brani come Gorizia, in favore di altri più aggressivi e rockeggianti come Risorgere! o The March of Fire dove fanno bella mostra le chitarre elettriche. L'influenza di Varunna e Blood Axis è evidentissima su questi brani, ma ho cercato di rendere il lavoro molto vario inserendo brani marziali, alcune parti liriche e le immancabili parti rumoriste che hanno caratterizzato fino ad oggi tutti i miei lavori. La scelta dei brani che compongono i miei album fino ad oggi è stata molto casuale, dunque era possibile ascoltare in sequenza un brano melodico e un noise uniti tra di loro solamente da un discorso concettuale; sull'ultimo album ha influito molto l'aspetto lirico ma dai prossimi lavori cercherò di seguire uno stile comune a tutti i brani, raccogliendo solo brani "musicali" o solo brani Industrial a seconda del tipo di album.




Parlando del passato, "Avanguardia.. " si apriva con una clamorosa versione di "Gorizia". Parlaci di questo canto, da dove nasce l'idea, ecc. La voce ha un'impostazione diversa dal solito... 

Gorizia è uno dei brani a cui sono maggiormente affezionato ed ho deciso di reinterpretarla anche per via della sua storia molto interessante. Nato come canto alpino della prima guerra mondiale, ebbe numerose reinterpretazioni e rivisitazioni, una delle quali a mano di quella fazione di soldati che contestavano i generali che li mandavano a morire, così questa versione divenne presto popolare tra i disertori e negli anni a venire comparirà spesso tra i canti anarchici. Io ovviamente ho preferito riproporre la versione originale, arrangiata e suonata da Carlo Carbone mentre riguardo alle vocals ho deciso di adoperare una timbrica decisamente inusuale ed inaspettatamente melodica rispetto alle mie produzioni passate. Quando decisi di reinterpretare questo brano non sapevo come avrebbero potuto rispondere le persone che seguono la mia musica, ma oggi penso di poter dire che sia uno dei brani più rappresentativi della mia discografia. Il 24 maggio scorso, in occasione del centenario dell'entrata in guerra dell'Italia, i ragazzi di Casapound hanno organizzato una commemorazione al sacrario di Redipuglia, durante la quale hanno riprodotto questo brano insieme ad altri attinenti e per me è motivo di grande orgoglio.


 La Corazzata è uno dei pochi gruppi industrial/neofolk che si è fatto un cattivo nome per aver suonato anche in situazioni apertamente politiche anche se, mi sembra di capire, che la Corazzata non sia un progetto politico vero e proprio. Mi sbaglio? Parlaci di cosa ti ha portato a suonare ad esempio al Circolo Futurista Casalbertone e che conseguenze ha avuto nella scena più "moderata"?

La Corazzata Valdemone attinge a piene mani dal Fascismo, questo è chiaro come il sole, ma il mio approccio alla materia è da considerarsi più nostalgico che altro, nel senso che non ho mai fatto nessun tipo di propaganda politica perché ritengo che il Fascismo dal quale traggo ispirazione è morto nel 1945. Detto questo è chiaro che - per rispondere alla tua domanda - col mio progetto sono più interessato alla storia che alla politica.
Ne consegue che in una scena popolata di anarchici, sovversivi e sbandati mi sia creato una cerchia di nemici agguerritissimi che mi hanno sempre intralciato e osteggiato in tutti i modi, ma mi consolo pensando che se avessi voluto il consenso di tutti avrei fatto musica pop, no?
Il concerto al Circolo Futurista ha una storia abbastanza esemplificativa di come funzionano i locali in Italia. Il boss della Scorze Rec. stava organizzando una serata noise al Dal Verme di Roma con Fukte, Autocancrena e Corazzata Valdemone. Il problema sorse a 10 giorni dal concerto, quando il proprietario del locale si rifiutò di farmi suonare nel suo locale coprendomi di insulti e citando tra i vari problemi la mia amicizia virtuale con i ragazzi del Circolo Futurista, così mi rimboccai le maniche, contattai i ragazzi del Circolo e gli proposi di andare a suonare da loro la stessa sera come risposta.
In Italia i circoli Arci, le associazioni culturali e buona parte dei locali pratica questo tipo di politica nella scelta delle bands che possono suonare dal vivo e lo possiamo notare dalla qualità infima della musica dal vivo nel nostro paese.

Esiste ancora un modo di fare provocazione intelligente oggi ed esiste un confine definito tra provocazione e ideologia?

La provocazione è una delle poche armi che riesce ancora a destare il pubblico dal torpore indotto dal bombardamento mediatico di televisioni, internet e pubblicità. Ogni giorno è sempre più difficile stupire o scandalizzare la gente che è sempre più abituata agli eccessi o a finte provocazioni studiate dai professionisti del marketing. Una volta bastava una tetta nuda per destare scalpore mentre oggi è tutto più complicato e non so proprio dirti se esista ancora un modo di stupire intelligentemente senza sfociare nel cattivo gusto e nella politica.
Personalmente me ne infischio sia del buon gusto che del politically correct ed ho sempre fatto quello che ritenevo più interessante, che si tratti di grafiche, foto promozionali o packaging dei miei lavori.

Qualcuno ha detto che la politica è la forma più alta di arte. Cosa ne pensi?

Penso che la politica sia una forma mentis e che vada portata avanti con convinzione in qualsiasi cosa si faccia. Comprare una macchina è politica, fare la spesa è politica, fare l'amore è politica. Ogni nostra scelta dipende da una convinzione e non ultima anche l'arte è politica. Anzi, in riferimento alla tua domanda, mi viene proprio da pensare che sia il contrario e che l'arte sia la forma di politica più alta, in quanto capace di orientare le masse.

Al di fuori del tuo progetto principale hai fatto diverse collaborazioni con nomi più o meno noti dell'ambiente sperimentale. Quali sono state le esperienze più interessanti e quali saranno le prossime?

Oltre a Corazzata Valdemone ho recentemente dato vita ad un nuovo progetto chiamato Solco Chiuso dove ho ripreso a suonare Industrial/noise per compensare gli ammorbidimenti stilistici della Corazzata ma senza alcun tipo di riferimento alle tematiche totalitarie di questo progetto.
Con questo nuovo progetto ho avuto la possibilità di collaborare con amici ed artisti che - per ragioni ideologiche - non avrebbero avuto nulla a che fare con Corazzata, così ho finalmente avuto il piacere di collaborare con eccellenze della scena italiana. Il debutto dovrebbe essere disponibile in autunno per una neonata label francese.
Oltre questo c'è in pentola un nuovo progetto molto interessante nel quale sono coinvolto ma del quale non voglio svelare il nome finché non sarà tutto pronto. Il debutto ufficiale dovrebbe uscire entro la fine dell'anno e vedrà la partecipazioni di numerosi nomi illustri della scena internazionale.

In generale, quale è la situazione attuale dell'underground in Sicilia al momento? Ricordo una scena metal spaventosa a Catania negli anni 80/90 e altri progetti interessanti anni dopo.

La scena underground siciliana - special modo quella metal - è sempre stata di altissimo livello, basti pensare a nomi come Schizo, Sinoath, Mondocane, Journey through the dark (poi Art Inferno), Bunker 66 e tante altre formazioni che hanno fatto la storia della musica estrema nazionale, mentre riguardo a sonorità a noi più vicine il discorso cambia drasticamente e si crea il vuoto assoluto. Qualche artista interessante a Palermo nella scena ambient ma nulla più.

Senza cadere nei maledetti stereotipi su mafia, ecc. mi chiedo come sia la vita di un progetto particolare come il tuo in una terra come quella in cui vivi. Quali le maggiori difficoltà?

Riguardo alla musica gli stereotipi su mafia e criminalità non hanno influenza, ma in generale posso dirti che vivere in un luogo dove sei costretto ad ordinare per posta tutti gli strumenti perchè non ci sono negozi specializzati, non ci sono locali per ascoltare qualcosa di interessante o per conoscere gente che condivide i tuoi stessi ascolti è duro. Quando trovo persone che ascoltano i miei stessi generi mi sembra un evento eccezionale mentre invece in altri posti è semplicemente la normalità. Anche a livello tecnico è molto più complicato riuscire a risolvere problemi tecnici con persone che non condividono i miei stessi problemi perchè estranee al genere.
Di contro c'è da dirsi che vivere lontano dalla cosiddetta scena mi evita molte rotture di scatole, ipocrisie inutili e mi solleva dall'odiare apertamente molta gente.

Cosa bolle in pentola per la Corazzata Valdemone?

Oltre alle collaborazioni "extra coniugali" di cui ho accennato, con Corazzata sono già al lavoro sui nuovi brani che andranno a comporre il prossimo album. Si tratta di una sorta di tribute album nel quale voglio coverizzare diversi canti, stornelli e canzonette che mi hanno influenzato in questi anni, rileggendoli in chiave moderna. Per l'occasione sto valutando la collaborazione di diversi musicisti che possano aiutarmi a suonare dal vivo la maggior parte degli strumenti. Parallelamente sto per finire una suite Industrial di circa mezz'ora che dovrebbe apparire per fine anno su uno split cassetta con uno degli artisti Italiani più importanti della scena Industrial. Presto maggiori informazioni!