giovedì 15 ottobre 2015

HOBBIT - Di qui Non Si Passa

HOBBIT - "Di Qui Non Si Passa" (CD , 2015 RTP)


"Se cambia la musica, cambieranno anche le istituzioni": con questa frase del filosofo Platone inizia l'ascolto del nuovo lavoro degli Hobbit dal bellicoso titolo "Di qui non si passa", quarto album di studio per la band di origini perugine attiva dal 1994, uscito il 27 giugno 2015. I nostri, dopo un'esperienza ventennale, sono arrivati a sfornare un nuovo attesissimo capitolo con testi carichi di grinta, speranza, poesia e una pura attitudine rock. "Di qui non si passa" è un concept album dedicato alla nostra terra, forse il lavoro meno politico e militante degli Hobbit, ma il più concentrato su temi storici e patriottici. Il disco si apre con la title track, che altro non è che il motto degli Alpini coniato dal generale Luigi Pelloux, dal sound molto cadenzato e pesante che si trasforma in un ottimo hard rock d'oltreoceano. Si prosegue con la speranzosa "L'alba verrà", dove si fanno notare le chitarre della prima scuola heavy metal tricolore: Strana Officina e Vanadium su tutti. "Vieni con noi" è il classico brano melodico, pieno di armonia e dalle sonorità poppeggianti. La classica canzone dal sound semplice ma curato, che potremmo tranquillamente sentire per radio, se solo non avesse un chiaro messaggio "contro la droga". Si continua con la ballad "Ancora qui", un brano difficile che ha l'arduo compito di parlare dei militanti caduti nei duri scontri durante gli anni di piombo. La canzone è la dovuta continuazione di "HL78". Verso metà album si ha "Italia": vera e propria poesia dedicata dagli Hobbit stessi alla nostra madrepatria (in cui, a tratti, ricordano i Gesta Bellica). Azzeccata la backing vocal femminile, ottime le chitarre di chiusura in puro stile heavy rock sull'ultima strofa recitata in latino. Il lavoro prosegue con "Uomo seriale", dalla melodia malinconica, dove si scatta una rapida istantanea della società odierna e della sua inesorabile decadenza umana e spirituale. Il disco si riprende di sound e speranza con "Scala a colori", che è una canzone d'amore ritmata da una batteria scandita e un riff accattivante. L'alterego di "Donna alla moda". L'ottava traccia è "A.T.A." (Alto Tasso Alcolico), brano con un testo goliardico di puro punk 'n' roll spensierato e trascinante dominato da cori coinvolgenti. Si arriva al brano "Ardite schiere", dalle chitarre folk e ritmo di batteria calzante, quasi un tributo alla musica popolare italiana. Successivamente è la volta di "European brotherhood", penultima traccia dell'album, brano di grande qualità sia musicale, sia compositiva, dove gli Hobbit danno il meglio di sé. Si giunge alla fine con "Per la nazione", cover di "Wir ham' noch lange nicht genug" dei tedeschi Böhse Onkelz col testo adattato di "Es por tu nación" degli spagnoli Klan, resa famosa dai División 250. Uno dei miglior brani del lotto, talmente carico di adrenalina che difficilmente non lo canterete a squarciagola ai concerti! Nel complesso, "Di qui non si passa", rimane un eccellente lavoro degli Hobbit, curato in maniera meticolosa sia a livello sonoro, sia a livello compositivo. Dettagliato nella grafica di copertina e del booklet che lo rende piacevole da sfogliare e leggere, pieno di citazioni, testi, foto, crediti e illustrazioni varie. Un disco maturo, con sonorità forse più ritmate e testi non banali, che conferma gli Hobbit come uno dei migliori gruppi di rock identitario italiano. Come sempre l'album è stato prodotto da Rupe Tarpea Produzioni su CD, che anche a questo giro piazza un bel colpo e ci regala quarantacinque minuti pieni di emozioni, pathos e poesia in puro stile rock 'n' roll e spirito patriottico.

Eugenio Nardi / Archivio Non Conforme



giovedì 1 ottobre 2015

CORAZZATA VALDEMONE - intervista





Quando si parla di progetti post-industrial e neo-folk, si schiudono finestre che danno su un mondo estremamente complesso. Un neofita può rimanere più che confuso da un ambiente polimorfo dove sembrano non esistere certezze e dove tutto quello che vedi non è ciò che sembra. Apparenti contraddizioni convivono sotto uno strano paralume di provocazione/sperimentazione, dove personalità complesse minano l'immagine dell'artista/musicista “classico”, spesso con risultati interessanti (quando funziona) o esilaranti (quando va male). Di tutto è stato scritto su questo ambiente dove i meno attenti possono facilmente fraintendere le intenzioni di gruppi e l’unica possibilità per sopravvivere è lasciarsi coinvolgere a livello inconscio o fuggire a gambe levate. 
In questo calderone di confusione estetica, un progetto che sicuramente ha fatto parlare di se negli ultimi anni (in bene e in male) è Corazzata Valdemone. Creatura sorta in quel di Milazzo contrassegnata da un approccio sonoro ed estetico intransigente che ha destato attenzioni in molti e provocato grandi dolori di fegato ad altri, ma, come si suol dire, non si può accontentar tutti. 
Dopo inizi un po' incerti, la Corazzata si è evoluta sino ad imporsi con lavori della portata di "Avanguardia Rumorista" e il recente "Stornellando in grigio verde", album che presentano un riuscito crossover di sonorità marziali molto spesso declamate in italiano, pezzi elettro-acustici e ballate strappalacrime. Non mancano momenti sperimentali dove vengono utilizzati strumenti autocostruiti e artigianali che rappresentano un tentativo di creare suoni propri che non sempre riesce a tutti. 
L'estetica della Corazzata è un pugno in faccia, una dichiarazione di forza e volontà che non esclude humour nerissimo con packaging limitati bizzarri ed espliciti riferimenti al ventennio. 
Ma di questo e tanto altro, ci parlerà Gabriele, mente e corpo del progetto.


  
Iniziamo questa chilometrica intervista con una domanda che mi sono fatto appena incrociato il nome del tuo progetto. Corazzata Valdemone non è soltanto un moniker che evoca volontà di potenza o qualcosa che ti schiaccia come un rullo compressore, ma ha anche un significato legato strettamente alla tua terra di provenienza. Illuminaci su questo argomento per favore.

Quando decisi di mettere in piedi questo progetto desideravo un moniker che dovesse racchiudere in se tutti gli aspetti principali della mia musica. Innanzitutto volevo che ci fosse un riferimento territoriale con i luoghi in cui vivo, cioè la Sicilia, e scelsi il termine Valdemone con cui era chiamata anticamente la parte ad est dell'isola. D'altro canto volevo un nome che suonasse molto pomposo, altisonante e bellicoso e scelsi il termine Corazzata. Dall'unione dei due termini scaturisce un senso di mistero lasciando pensare a chissà quale residuato bellico e penso che sia il nome ideale per un progetto come il mio.

Chi è e cosa intende dire e fare la Corazzata Valdemone. Raccontaci chi è la sua mente e illustraci chi sono stati i tuoi collaboratori principali almeno negli ultimi anni.

La Corazzata nasce nel 2003, in un periodo in cui la scena Martial/Industrial era al suo apice creativo, ma ho sempre trovato un po' contraddittorio vedere che gente come Von Thronstahl, Les Joyeaux de la Princesse o Toroidh utilizzassero un'estetica fortemente militaresca associata a dei suoni orchestrali che - per quanto pomposi - erano tutto sommato docili e molto atmosferici.
Trovavo che queste tematiche necessitassero di maggiore foga, irruenza e soprattutto rumore, così decisi di mettere in piedi questo progetto per tradurre in musica la vera essenza della guerra. Nel primo periodo della mia discografia ho dato parecchia attenzione alla fusione di musica, voci, samples e campionamenti di battaglia in modo che potessero risultare come un unicum e - riprendendo un passaggio del manifesto della Corazzata - che le parole si facessero musica e la musica portasse con se un messaggio nitido ed inequivocabile.
Riguardo alla seconda parte della tua domanda c'è da dire che la Corazzata è nata come un progetto solista e così è sempre rimasto fino ad oggi. Ho avuto moltissime collaborazioni delle quali porto un bel ricordo, ma quelle che ricordo con maggior affetto sono Deviate Damaen, Sigfried, che ho avuto anche il piacere di avere sul palco al release party di Stornellando in Grigioverde il 1 marzo scorso, insieme a Stefania D. ed il grande John Purghezio degli Zetazeroalfa. Ad ogni modo il ringraziamento più grande va al mio principale collaboratore ed amico storico Carlo Carbone degli Art Inferno che è sempre stato presente durante tutta la mia crescita artistica e che ha firmato diversi dei più bei brani della mia discografia.
Riguardo alla mente che sta dietro al progetto non credo che possa essere interessante sapere cosa faccio nella vita di tutti i giorni o che piatti preferisco mangiare. Io sostengo che un artista non bisognerebbe mai conoscerlo fino in fondo, dunque preferisco che la gente che mi segue idealizzi l'immagine di me che preferisce.

Il progetto esiste da tanti anni ormai, ma l'evoluzione degli ultimi anni, musicale ed estetica è stata impressionante. Composizioni, grafiche e suoni sono radicalmente migliorati. Come pensi sia avvenuta questa crescita?

Ti ringrazio per le belle parole, è semplicemente successo che ad un certo punto del mio percorso musicale ho smesso di campionare vecchie registrazioni di canti di guerra ed ho iniziato a risuonarli io... Fondamentalmente si tratta di un approccio alla melodia che avevo già sperimentato - seppur in modo abbastanza acerbo - ai tempi dei Kannonau e che adesso ho provato a riproporre con maggiore cognizione e perizia. Con gli anni ho iniziato ad acquisire anche una maggiore dimestichezza con strumenti analogici ed ho iniziato a ripulire le mie composizioni che, per quanto affascinanti, meritavano di essere arrangiate e realizzate con maggiore professionalità. Sono sempre stato convinto che con metodo, ordine e pazienza si possano ottenere grandi risultati, così per la musica come per le grafiche, ed ho iniziato a dedicare molta più attenzione ai miei lavori, cercando - nei limiti del possibile - di non farmi prendere dalla frenesia e riflettendo a lungo sulle mie realizzazioni, finchè non ne sono totalmente soddisfatto.
Solitamente ho sempre curato personalmente le grafiche dei miei lavori, ma su "Avanguardia Rumorista" ho ceduto volentieri il compito a Nickolay Busov della UFA Muzik che è un grafico professionista ed è inutile dire che sono assolutamente soddisfatto del risultato finale. Dopo quell'episodio è venuto il turno di "Stornellando in Grigioverde" per il quale sono tornato ad occuparmi personalmente dell'artwork, che desideravo potesse mantenere uno standard qualitativo all'altezza del precedente. Mandai la prima bozza ai ragazzi della Wolf Age che - pur apprezzando - mi spinsero a rifare, migliorare, affinare e rivedere ben 7 differenti grafiche fino a quella che è divenuta quella ufficiale. Oggi ci tengo a ringraziarli pubblicamente per la pazienza e la tenacia.



So che nel tempo libero, ti diletti nella costruzione di strumenti a molla e altre diavolerie sonore, alcuni dei quali ora in possesso di famigerati musici industriali. Parlaci di alcuni di questi esperimenti, come li hai realizzati? con che materiali ti piace lavorare? (aggiungi materiale iconografico)

Si è vero, sono molto affascinato dalle fields recording, dai campionamenti ed anche dalla realizzazione di strumenti artigianali che mi diletto a costruire nel tempo libero. Si tratta di strutture molto semplici con molle di diverse lunghezze e durezze, alcuni thunder maker ed altri oggetti che mi piace costruire per ottenere suoni abbastanza personali.
Una delle mie prime realizzazioni si chiama "Tremerario" e si tratta di uno strumento realizzato con diverse molle collegate tra di loro per dare una maggiore risonanza. Si tratta di un oggetto a metà strada tra un opera d'arte contemporanea ed uno strumento vero e proprio del quale ne esistono solo 2 esemplari, uno dei quali in dote ad un musicista di Como, mentre un'altro strumento per certi versi simile è finito tra le mani di Piero Stanig aka Naxal Protocol (ex Cazzodio).
Si tratta di oggetti molto semplici, nulla di trascendentale, ma il suono della ferraglia ha un fascino irresistibile anche senza alcun tipo di effettistica...

Come sei giunto a questo genere di sperimentazione sui materiali? Forse a un senso di riappriopriazione di una dimensione più fisica del suono in un momento in cui i software synth e la musica intangibile in generale spopola?

La tua interpretazione è molto interessante e penso che a livello inconscio sia sicuramente una buona lettura. Ho sempre odiato quelle bands, soprattutto in ambito marziale, che utilizzano suoni freddi analogici o loop infiniti, mentre invece ho sempre ammirato gente come Einsturzende Neubauten che invece sperimentano con tutto quello che gli capita sotto mano... in fondo la nostra è una scena "Industriale", bisogna pur sporcarsi le mani, no? In un mondo in cui tutto è di plastica, seriale, standardizzato ho pensato che realizzare qualcosa di unico potesse aiutarmi a forgiare un suono personale che nessun synth o vst potrà mai riprodurre.

Parliamo del tuo ultimo lavoro "Stornellando in Grigioverde". Da cosa nasce il concept e come si è sviluppato. Noto riferimenti alla prima guerra mondiale di cui cade oggi il centenario. Che aspetti volevi presentare nella tua opera?

Stornellando in Grigioverde è un lavoro molto concettuale che non mi spingo a definire concept album, ma nel quale ho provato a focalizzare l'attenzione sul tema della Grande Guerra di cui - come anticipavi - quest'anno ricorre il centenario dell'entrata dell'Italia nel conflitto. Alcuni brani trattano tematiche differenti, ma il tema dominante è quello della prima guerra mondiale, di cui non ho cercato di idealizzare una figura romantica come hanno fatto in passato artisti ben più bravi di me, ma mostrando il lato ardito e valoroso dei soldati che hanno combattuto in condizioni disumane ed hanno servito la Patria con devozione e convinzione fino alla vittoria. L'episodio che amo maggiormente è Memorie, in cui è possibile ascoltare le registrazioni di due poesie recitate a memoria da una donna di 106 anni che ha vissuto entrambe le guerre mondiali e che oggi non c'è più.

Rispetto al precedente Avanguardia Rumorista sembri concentrarti maggiormente, e mi permetto di dire con ad atmosfere più percussive e militaresche, piuttosto che l'aspetto melodico con cui hai segnato pezzi memorabili. Come mai questa scelta?

Da Avanguardia Rumorista ho iniziato a concepire brani che avessero una struttura definita secondo una forma-canzone, dunque è ragionevole dire che Stornellando in Grigioverde ne sia la naturale evoluzione, ma per quanto riguarda le atmosfere ho momentaneamente accantonato le parti melodiche che avevano caratterizzato brani come Gorizia, in favore di altri più aggressivi e rockeggianti come Risorgere! o The March of Fire dove fanno bella mostra le chitarre elettriche. L'influenza di Varunna e Blood Axis è evidentissima su questi brani, ma ho cercato di rendere il lavoro molto vario inserendo brani marziali, alcune parti liriche e le immancabili parti rumoriste che hanno caratterizzato fino ad oggi tutti i miei lavori. La scelta dei brani che compongono i miei album fino ad oggi è stata molto casuale, dunque era possibile ascoltare in sequenza un brano melodico e un noise uniti tra di loro solamente da un discorso concettuale; sull'ultimo album ha influito molto l'aspetto lirico ma dai prossimi lavori cercherò di seguire uno stile comune a tutti i brani, raccogliendo solo brani "musicali" o solo brani Industrial a seconda del tipo di album.




Parlando del passato, "Avanguardia.. " si apriva con una clamorosa versione di "Gorizia". Parlaci di questo canto, da dove nasce l'idea, ecc. La voce ha un'impostazione diversa dal solito... 

Gorizia è uno dei brani a cui sono maggiormente affezionato ed ho deciso di reinterpretarla anche per via della sua storia molto interessante. Nato come canto alpino della prima guerra mondiale, ebbe numerose reinterpretazioni e rivisitazioni, una delle quali a mano di quella fazione di soldati che contestavano i generali che li mandavano a morire, così questa versione divenne presto popolare tra i disertori e negli anni a venire comparirà spesso tra i canti anarchici. Io ovviamente ho preferito riproporre la versione originale, arrangiata e suonata da Carlo Carbone mentre riguardo alle vocals ho deciso di adoperare una timbrica decisamente inusuale ed inaspettatamente melodica rispetto alle mie produzioni passate. Quando decisi di reinterpretare questo brano non sapevo come avrebbero potuto rispondere le persone che seguono la mia musica, ma oggi penso di poter dire che sia uno dei brani più rappresentativi della mia discografia. Il 24 maggio scorso, in occasione del centenario dell'entrata in guerra dell'Italia, i ragazzi di Casapound hanno organizzato una commemorazione al sacrario di Redipuglia, durante la quale hanno riprodotto questo brano insieme ad altri attinenti e per me è motivo di grande orgoglio.


 La Corazzata è uno dei pochi gruppi industrial/neofolk che si è fatto un cattivo nome per aver suonato anche in situazioni apertamente politiche anche se, mi sembra di capire, che la Corazzata non sia un progetto politico vero e proprio. Mi sbaglio? Parlaci di cosa ti ha portato a suonare ad esempio al Circolo Futurista Casalbertone e che conseguenze ha avuto nella scena più "moderata"?

La Corazzata Valdemone attinge a piene mani dal Fascismo, questo è chiaro come il sole, ma il mio approccio alla materia è da considerarsi più nostalgico che altro, nel senso che non ho mai fatto nessun tipo di propaganda politica perché ritengo che il Fascismo dal quale traggo ispirazione è morto nel 1945. Detto questo è chiaro che - per rispondere alla tua domanda - col mio progetto sono più interessato alla storia che alla politica.
Ne consegue che in una scena popolata di anarchici, sovversivi e sbandati mi sia creato una cerchia di nemici agguerritissimi che mi hanno sempre intralciato e osteggiato in tutti i modi, ma mi consolo pensando che se avessi voluto il consenso di tutti avrei fatto musica pop, no?
Il concerto al Circolo Futurista ha una storia abbastanza esemplificativa di come funzionano i locali in Italia. Il boss della Scorze Rec. stava organizzando una serata noise al Dal Verme di Roma con Fukte, Autocancrena e Corazzata Valdemone. Il problema sorse a 10 giorni dal concerto, quando il proprietario del locale si rifiutò di farmi suonare nel suo locale coprendomi di insulti e citando tra i vari problemi la mia amicizia virtuale con i ragazzi del Circolo Futurista, così mi rimboccai le maniche, contattai i ragazzi del Circolo e gli proposi di andare a suonare da loro la stessa sera come risposta.
In Italia i circoli Arci, le associazioni culturali e buona parte dei locali pratica questo tipo di politica nella scelta delle bands che possono suonare dal vivo e lo possiamo notare dalla qualità infima della musica dal vivo nel nostro paese.

Esiste ancora un modo di fare provocazione intelligente oggi ed esiste un confine definito tra provocazione e ideologia?

La provocazione è una delle poche armi che riesce ancora a destare il pubblico dal torpore indotto dal bombardamento mediatico di televisioni, internet e pubblicità. Ogni giorno è sempre più difficile stupire o scandalizzare la gente che è sempre più abituata agli eccessi o a finte provocazioni studiate dai professionisti del marketing. Una volta bastava una tetta nuda per destare scalpore mentre oggi è tutto più complicato e non so proprio dirti se esista ancora un modo di stupire intelligentemente senza sfociare nel cattivo gusto e nella politica.
Personalmente me ne infischio sia del buon gusto che del politically correct ed ho sempre fatto quello che ritenevo più interessante, che si tratti di grafiche, foto promozionali o packaging dei miei lavori.

Qualcuno ha detto che la politica è la forma più alta di arte. Cosa ne pensi?

Penso che la politica sia una forma mentis e che vada portata avanti con convinzione in qualsiasi cosa si faccia. Comprare una macchina è politica, fare la spesa è politica, fare l'amore è politica. Ogni nostra scelta dipende da una convinzione e non ultima anche l'arte è politica. Anzi, in riferimento alla tua domanda, mi viene proprio da pensare che sia il contrario e che l'arte sia la forma di politica più alta, in quanto capace di orientare le masse.

Al di fuori del tuo progetto principale hai fatto diverse collaborazioni con nomi più o meno noti dell'ambiente sperimentale. Quali sono state le esperienze più interessanti e quali saranno le prossime?

Oltre a Corazzata Valdemone ho recentemente dato vita ad un nuovo progetto chiamato Solco Chiuso dove ho ripreso a suonare Industrial/noise per compensare gli ammorbidimenti stilistici della Corazzata ma senza alcun tipo di riferimento alle tematiche totalitarie di questo progetto.
Con questo nuovo progetto ho avuto la possibilità di collaborare con amici ed artisti che - per ragioni ideologiche - non avrebbero avuto nulla a che fare con Corazzata, così ho finalmente avuto il piacere di collaborare con eccellenze della scena italiana. Il debutto dovrebbe essere disponibile in autunno per una neonata label francese.
Oltre questo c'è in pentola un nuovo progetto molto interessante nel quale sono coinvolto ma del quale non voglio svelare il nome finché non sarà tutto pronto. Il debutto ufficiale dovrebbe uscire entro la fine dell'anno e vedrà la partecipazioni di numerosi nomi illustri della scena internazionale.

In generale, quale è la situazione attuale dell'underground in Sicilia al momento? Ricordo una scena metal spaventosa a Catania negli anni 80/90 e altri progetti interessanti anni dopo.

La scena underground siciliana - special modo quella metal - è sempre stata di altissimo livello, basti pensare a nomi come Schizo, Sinoath, Mondocane, Journey through the dark (poi Art Inferno), Bunker 66 e tante altre formazioni che hanno fatto la storia della musica estrema nazionale, mentre riguardo a sonorità a noi più vicine il discorso cambia drasticamente e si crea il vuoto assoluto. Qualche artista interessante a Palermo nella scena ambient ma nulla più.

Senza cadere nei maledetti stereotipi su mafia, ecc. mi chiedo come sia la vita di un progetto particolare come il tuo in una terra come quella in cui vivi. Quali le maggiori difficoltà?

Riguardo alla musica gli stereotipi su mafia e criminalità non hanno influenza, ma in generale posso dirti che vivere in un luogo dove sei costretto ad ordinare per posta tutti gli strumenti perchè non ci sono negozi specializzati, non ci sono locali per ascoltare qualcosa di interessante o per conoscere gente che condivide i tuoi stessi ascolti è duro. Quando trovo persone che ascoltano i miei stessi generi mi sembra un evento eccezionale mentre invece in altri posti è semplicemente la normalità. Anche a livello tecnico è molto più complicato riuscire a risolvere problemi tecnici con persone che non condividono i miei stessi problemi perchè estranee al genere.
Di contro c'è da dirsi che vivere lontano dalla cosiddetta scena mi evita molte rotture di scatole, ipocrisie inutili e mi solleva dall'odiare apertamente molta gente.

Cosa bolle in pentola per la Corazzata Valdemone?

Oltre alle collaborazioni "extra coniugali" di cui ho accennato, con Corazzata sono già al lavoro sui nuovi brani che andranno a comporre il prossimo album. Si tratta di una sorta di tribute album nel quale voglio coverizzare diversi canti, stornelli e canzonette che mi hanno influenzato in questi anni, rileggendoli in chiave moderna. Per l'occasione sto valutando la collaborazione di diversi musicisti che possano aiutarmi a suonare dal vivo la maggior parte degli strumenti. Parallelamente sto per finire una suite Industrial di circa mezz'ora che dovrebbe apparire per fine anno su uno split cassetta con uno degli artisti Italiani più importanti della scena Industrial. Presto maggiori informazioni!